In merito all’accoglienza dei migranti, non sono molti gli aggiornamenti rispetto a quanto è stato detto lunedì in piazza Roma. Come ha spiegato ieri sera il sindaco Davide Bettinelli al Consiglio aperto presso il campo sportivo, “sono 43 i profughi ospitati presso la palazzina di piazza Zambonelli, per convenzione dovrebbero rimanerne 40; la maggior parte di loro sono nigeriani (24). Rispetto alle azioni che ha fatto, sta facendo e farà il Comune, tenderei a non divulgare le notizie, perché qualcuno potrebbe sistemare le cose e rovinare la sorpresa”.
Governare “nel male”
A distanza di due giorni dalla manifestazione in piazza, la parola d’ordine è diffidenza: “quelle del Prefetto per ora sono solo parole – ha aggiunto il sindaco – aspettiamo che diventino fatti. Siamo pronti a contestare uno ad uno tutti i punti della convenzione stipulata tra il prefetto e il privato”. Chiaro l’indirizzo dell’amministrazione: “siamo chiamati a governare nel bene e nel male, in questo caso chiaramente nel male”, ha aggiunto il primo cittadino. Intanto, salgono a circa 200 le firme per la petizione con la quale i chievesi intendono istituire un comitato di controllo.
I profughi “non li vogliamo”
Scongiurato il ricorso alle vie legali per la soluzione del problema – costa molto e “non c’è la certezza dell’esito a nostro favore” – l’amministrazione chievese ha assicurato profonderà il massimo impegno. Nondimeno, l’obiettivo finale è avvolto in una spessa cortina di dubbi: le dure parole riservate ai migranti – “non li vogliamo”, ha tuonato più di una volta il pubblico – lasciano in tendere il problema non riguardi solo l’accoglienza. A mettere in chiaro la posta in gioco è stato l’ex sindaco, Ernesto Baroni Giavazzi, che ha proposto di “mettere in votazione un Ordine del giorno, con cui il Comune respinge la scelta del Prefetto di collocare a Chieve i profughi”.
Stare sul territorio
A nulla sono servite le rassicurazioni della Caritas diocesana cremasca: oltre i fischi, sono numerosi i deprecabili epiteti rivolti all’operatore dell’associazione Claudio Dagheti quando ha spiegato che “serve una gestione oculata, che permetta agli accolti di stare sul territorio. È improprio parlare di profughi – ha chiarito l’operatore – perché tra i 43 accolti ci sono situazioni molti differenti, tra chi è scappato dalla guerra a chi migra in cerca di migliori condizioni economiche. Quello che è certo è che l’esperienza della Caritas, dal 2009 ad oggi, non ha mai avuto problemi in merito alla gestione dell’emergenza migranti”.
Dominare il fenomeno
Anche la Caritas individua nell’accoglienza privata un sistema inefficiente: “l’ente gestore deve garantire sia i servizi alla persona sia quelli finalizzati all’integrazione, come la scuola e l’orientamento. Dal degrado non potrà mai generarsi benessere, solo altro degrado; per questo è necessario fare pressioni sulla signora Puddu (che ha stipulato la convenzione col Prefetto) affinché il fenomeno possa essere dominato. La diocesi, quindi la Caritas cremasca, è disposta a gestire varie realtà, ma in questo caso non siamo stati contattati. Rimaniamo convinti – ha concluso Dagheti – che una gestione di questo tipo non porti benessere né al paese né alle persone accolte”.
Si faccia accoglienza insieme
Ben più applaudito l’intervento del parroco, don Alessandro Vagni: “Chieve ha una lunga storia di accoglienza; ad aprile di quest’anno erano 127 gli stranieri in paese. Se mi si chiede se è corretto l’allestimento di questo programma d’accoglienza, se è stato condiviso e se è umano il trattamento riservato agli ospiti, io rispondo “no”. Si azzeri questa situazione e si rimandi con coraggio l’offerta al mittente, se non si è in grado di perseguire gli obiettivi prefissati. Se accoglienza dev’essere, accoglienza sia, ma la si faccia insieme, perché diventi un’opportunità di crescita; l’abbiamo sempre fatto, facciamolo ancora”.