14-04-2018 ore 20:47 | Cronaca - Crema
di Lidia Gallanti

Crema. Una settimana senza social, studenti del Munari alla prova. Solo 3 su 46 resistono

Una settimana senza social network. Ci provano in 46, resistono in tre. È il risultato dela ricerca etnografica (Non) posso fare a meno di voi, condotta nel gennaio 2017 tra gli studenti del liceo artistico Munari di Crema. Un test per valutare l'impatto delle nuove tecnologie sulla quotidianità, tradotto in un video e presentato oggi sabato 14 aprile nella sala Anelli del san Domenico. Alla tavola rotonda moderata dalla giornalista Bibiana Sudati hanno preso parte l'antropologa Anna Biscaldi, le insegnanti dell'artistico Alba Caridi ed Elisa Tagliati, il diretttore dell'unità operativa di psichiatria dell'Asst Cremona Roberto Poli e il diciottenne Enrico Galletti, collaboratore del Corriere della Sera.


Responsabili di se stessi

Alla base dell'esperimento, il concetto di responsabilità." Nessun divieto ai ragazzi, nessuna privazione", spiega Biscaldi. "A loro la scelta di aderire, proseguire o sospendere". In dieci hanno deciso di non provarci, trentuno hanno interrotto la prova durante la settimana, due hanno desistito nel weekend, poche ore prima del termine. La prima discriminante è tra chi ha deciso di cimentarsi e chi ha respinto la proposta in virtù di un'ideologia del progresso quasi positivista: "se la tecnologia può facilitarci la vita, perché farne a meno?" Per alcuni è una questione generazionale: "i nativi digitali non possono fare a meno della tecnologia, è come se fosse nel loro Dna".
 

La paura del vuoto

Le loro testimonianze sono state raccolte in un video-diario. C'è chi non sa come spendere le ore prima dedicate a scrollare la bacheca di facebook, chi non riesce a contattare gli amici e non telefona "per non disturbare". Chi teme di rimanere isolato: "se non mi trovano subito, non mi cercheranno più". Tra i concetti più frequenti: ansia, solitudine, noia, vuoto. Un horror vacui difficile da colmare e l'incapacità di tradurre il tempo libero in progetti alternativi. "Non sono abituati - prosegue Biscaldi - la loro vita è da sempre costituita in spazi strutturati: sono grandi consumatori di esperienze, l'assenza di stimoli diventa fonte di ansia".

Digito ergo sum

Sempre connessi, eppure lontani.  Questa la diapositiva che emerge dall'esperimento: "da un lato l'alleggerimento dell'amicizia, dall'altro l'ansia della precarietà". Aggrapparsi ai social diventa il modo per non perdere il contatto, per non sentirsi scomparire. Esserci significa esistere. Secondo l'antropologa, il nodo si può sciogliere "ripartendo dai valori, spesso da loro intesi come vincoli". Primo fra tutti la fiducia. In se stessi, senza il bisogno di cercare conferme nella rete. Negli altri, attraverso la costruzione di legami solidi in cui la presenza è una costante che non necessita della spunta blu di conferma sui social per sapere che l'altro c'è. Che noi ci siamo.

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