Non si è certo risparmiato
Raphael Gualazzi nella data zero del suo tour andata in scena sul palco del teatro San Domenico la sera del 26 marzo. Una scaletta di 20 brani, un ora e tre quarti di musica, praticamente quasi per intero il secondo e terzo disco del pianista e autore di Urbino esploso nel 2011 con la vittoria di Sanremo giovani e il secondo posto all’Eurofestival.
Dal jazz allo swingUna scaletta acrobatica aperta da
Raimbows e chiusa programmaticamente con
I’m tired, sono stanco, che ha messo in luce l’incredibile talento eterogeneo di Gualazzi capace di passare agevolmente da un pezzo all’altro ad atmosfere jazz, toni pop raffinati e cavalcate swing, mantenendo sempre un tocco riconoscibilissimo nel suo pianismo che mette insieme influenze del ragtime dei primi del ‘900 con soluzioni moderne e innovative.
La scalettaIn mezzo tutti i brani possibili dal brano dell’ultimo Sanremo
Sai (ci basta un sogno), a quello reso celebre da uno spot,
Love goes down slow passando per
Follia d’amore, iniziato in italiano e terminato in inglese, a sottolineare che la lingua di Albione calza meglio a Gualazzi, che ha mosso i suoi primi passi tra Stati Uniti e Canada e ha avuto il primo piccolo successo con la cover di
Don’t stop dei Fleetwood Mac, non proposta a Crema i brani erano tutti autografi.
Poche parole tanta musicaPoche parole, un saluto al pubblico dopo tre brani, una deferenza a Giuseppe Verdi prima di un brano omaggio all’autore di Busseto ed i saluti alla fine. Dal pianoforte, posto al centro della scena, si alza una sola volta per accennare un passo di danza assai goffo che ricorda parecchio il modo in cui Thelonius Monk “sentiva” la musica. Per il resto canta e muove le mani funambolicamente. Alcuni passaggi lasciano a bocca aperta per l’audacia tecnica.
Una grande bandMa non è certo un concerto per tecnici quello che apparecchia al San Domenico ma una raffinata tavola che allinea momenti intimistici ad incredibili aperture melodiche e ritmiche che strappano ovazioni al pubblico di Crema, il teatro era tutto esaurito e il pubblico era tutt’altro che freddo. Ad accompagnarlo una band eccezionale formata da una sezione ritmica quadrata e precisa,
Emah Otu al basso e
Massimiliano Castri alla batteria un chitarrista di grande spessore,
Laurent Miqueu, e una sezione fiati che impreziosisce e da struttura al suond, Julien Duchet, Damien Verherve, Luigi Faggi.
I toni soul delle coristeMa un plauso speciale va alle tre coriste
Bene Maillot, Lisa Griset e
Sophie Afoy, tre grandi voci gospel e tre donne di grande fascino che sovrastano la scena e sono anche protagoniste di un paio di brani col le loro voci da profondo sud degli Stati Uniti. Bello anche l’allestimento scenico ricco di colori e luci che fa precipitare l’ascoltatore in un atmosfera da jazz club parigino, con le luci che rafforzano il timbro della musica e alle volte disegnano delle volute di fumo che ben si addicono all’atmosfera.